mercoledì 16 novembre 2011

FORSE NON TUTTI SANNO CHE.............

.............. cosa viene a mancare immediatamente quando si è impegnati da lungo tempo in uno sforzo fisico aerobico? Il fiato, ovviamente. In realtà non è proprio così: quello che manca davvero è la corretta ossigenazione dei tessuti, non tanto la colonna d’aria che va a gonfiare i polmoni. Tanto è vero che non è la capacità vitale, cioè il volume d’aria, a determinare la capacità aerobica del soggetto, ma il massimo consumo di ossigeno (V02), cioè appunto, l’indice di ossigenazione dell’organismo.

Questo aspetto entra in gioco soprattutto quando si praticano discipline cosiddette di endurance. La più celebre è la maratona, ma ci sono anche ciclismo, sport d’apnea e alpinismo. Cioè tutte quelle situazioni in cui, cambiando la pressione atmosferica, viene a modificarsi la tensione dell’ossigenazione nel sangue. A grandi altezze, il sangue riceve poco ossigeno e così l’organismo va incontro a una lenta asfissia (anossia). La capacità totale di ossigeno nel sangue è di circa 1200 cm3 e si calcola che si diffondano da 100 a 350 cm3 di ossigeno per ogni circuito completo eseguito dal sangue. In un’ora, il corpo a riposo utilizza 15 litri di ossigeno, mentre sotto sforzo si arriva anche ai 20 litri.

Oltre i 3 mila metri infatti l'organismo dell'uomo, se non ha particolari caratteristiche genetiche, va incontro a una serie di profonde modificazioni fisiologiche: il sangue, per contrastare la diminuzione dell'ossigeno, produce una più elevata quantità di globuli rossi, ma in questo modo diventa più viscoso.
Le popolazioni che vivono permanentemente in altitudine hanno sviluppato vari adattamenti per superare il problema. Gli abitanti delle Ande, per esempio, hanno una maggior proporzione di globuli rossi e di emoglobina nel sangue. I tibetani invece si sono adattati pur mantenendo la stessa quantità di emoglobina (e quindi la stessa percentuale di ossigeno) delle popolazioni del livello del mare, cambiando il ritmo di respirazione. Gli etiopi, invece, conosciuti anche come atleti dalla straordinaria resistenza, hanno sorpreso i ricercatori dell'università Case Western di Cleveland, perché pur mantenendo livelli di emoglobina assolutamente normali, hanno una percentuale di ossigeno nel sangue alta quasi come gli andini. Il meccanismo fisiologico non è ancora stato chiarito. In futuro però si potranno trasferire le conoscenze acquisite in questo campo ai malati di alcune patologie respiratorie che sono caratterizzate da una bassa saturazione di ossigeno nel sangue.

Stesso obiettivo ha animato una spedizione di medici cavia sul monte Everest, che ha permesso di registrare il più basso livello di ossigeno mai evidenziato nel sangue di un uomo. Un gruppo di scienziati alpinisti, guidati dal professor Mike Grocott, direttore del Centro per l’Altitudine, Spazio e Medicina in ambienti estremi dell’University College di Londra, ha affrontato la scalata dell’Himalaya per misurare la risposta dell’organismo umano sottoposto a condizioni estreme. I risultati ottenuti dal gruppo potrebbero portare allo sviluppo di nuovi trattamenti rivolti a pazienti con un livelli simili di ossigeno nel sangue, causati da gravi malattie tra cui la sindrome da stress respiratorio acuto, la fibrosi cistica e l’enfisema . Arrivati a 8400 metri d’altitudine, i medici alpinisti si sono tolti le maschere d’ossigeno per venti minuti per acclimatarsi all’atmosfera rarefatta, poi hanno prelevato campioni di sangue dalle proprie arterie femorali, portandoli in tempo record (meno di due ore) in un laboratorio da campo allestito appositamente ad alta quota (6400 m) . È stato il dottor Daniel Martin, 35 anni, anestesista, a registrare il livello record di ossigeno nel sangue: 3,28 chilopascal, ovvero l’80% al di sotto del livello normale, che è di 12-14 chilopascal. La quantità di ossigeno presente nel sangue di Martin si pensava incompatibile con la vita; invece il medico era in grado di parlare alla radio, camminare e addirittura fare un prelievo a un collega.

Questa potrebbe essere una prova del fatto che gli alpinisti possiedono quantità di ossigeno straordinariamente basse, che in condizioni normali si potrebbero osservare solamente in persone vicine alla morte . La sopravvivenza può essere spiegata sia dall’acclimatazione fatta (60 giorni di permanenza) e una struttura genetica che consente a certi organismi allenati di usare l’ossigeno in maniera più efficace.

Che il trucco per affrontare meglio uno sforzo è quello di alzare il livello di ossigenazione nel sangue, aumentando la quantità dei globuli rossi presenti nel plasma e di conseguenza la quantità di emoglobina circolante , lo sanno bene gli atleti che, infrangendo regolamenti e comune senso di lealtà sportiva, ricorrono all’emo-doping. Questo effetto si può ottenere in due modi : il primo e più antico è l’autotrasfusione; all’atleta viene prelevata una certa quantità di sangue, dalla quale vengono separati gli eritrociti, che vengono poi reinfusi.

Il secondo sistema, più sofisticato e per certi versi più pratico, consiste nel trattamento con Eritropoietina (EPO) , un ormone che ha la funzione di promuovere lo sviluppo, nel midollo osseo, delle cellule progenitrici dei globuli rossi. Fisiologicamente questo ormone viene prodotto nei reni e nel fegato e la sua produzione aumenta quando l’organismo è in deficit d’ossigeno. È questo uno dei motivi per cui con l’allenamento è possibile aumentare la propria capacità aerobica. L’eritropoietina , oggi viene ottenuta con le tecniche ricombinanti e quindi chiamata rEPO, viene impiegata in medicina per curare le forme gravi di anemai, soprattutto renale come quella che si presenta nei nefropatici in dialisi.

Cosa succede al sangue dopato?

La prima conseguenza è l’aumento della concentrazione dell’emoglobina e quindi, dal punto di vista del laboratorio, si ha un aumento dell’ematocrito, che è l’indice corrispondente; ne consegue che, durante gli sforzi sub massimali, nel sangue si ha una minore concentrazione di acido lattico, che è invece il tipico prodotto della fatica muscolare (la resistenza è aumentata), nel caso dell’EPO, malgrado vi sia una diminuzione del battito cardiaco, aumenta la pressione arteriosa , cosa che espone i sistemi cardiocircolatori degli atleti allenati ad ulteriori stress e pericoli per la salute. C’è comunque da valutare se effettivamente l’emodoping sia una pratica così efficace; alcuni recenti studi pubblicati in Italia, hanno mostrato che negli atleti allenati nel “modo giusto”, la capacità aerobica non correla con il valore dell’ematocrito, cioè la loro capacità di ben ossigenare i tessuti è indipendente dalla quantità di globuli rossi. Al contrario, alti valori di ematocrito caratterizzano piuttosto gli atleti che si sono “superallenati” e quindi non sono in grado di esprimere le loro massime prestazioni; in compenso aumenta la viscosità (densità) del sangue e questo implica maggior rischio cardiovascolare. Come dire, la classe c’è l’hai nel sangue , doparlo non serve.

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